Incontro il M° Salvatore Percacciolo a Catania, al termine delle recite del Don Giovanni di Mozart, che lo hanno visto sul podio del Teatro Massimo Bellini dal 13 al 20 ottobre 2017.

M° Percacciolo, lei è siciliano, ma vive a Berlino. Ho avuto il piacere di conoscerla ad Agrigento, quando, giovanissimo, ha diretto il concerto di riapertura del Teatro Pirandello alla grande Musica. Come mai questa scelta di lasciare la Sicilia, l’Italia addirittura?
Devo dirle la verità? (ride, n.d.r.) La scelta di lasciare l’Italia è nata da un colpo di fulmine, non per la Germania, paese che rispetto ed apprezzo soprattutto per il senso civico e per come trattano l’aspetto culturale in generale, ma per mia moglie: quando la conobbi viveva già in Germania da diversi anni e quindi ho voluto seguirla per vivere questa nuova esperienza facendomi trasportare solo dall’amore. Ad oggi le posso dire che sono felice della decisione non solo perchè ho avuto modo di imparare un’altra lingua e vivere in una città culturalmente stimolante, ma perchè credo di aver avuto modo di crescere anche musicalmente, godendo della possibilità di assistere a prove e concerti di tutti i più grandi direttori e solisti del momento. Detto ciò non posso nasconderle che io amo il mio Paese, l’Italia, e quindi la Sicilia, terra straordinariamente attraente, e mi sento più Italiano quando sono a Berlino che quando rientro in Italia. In poche parole non mi piace fare l’italiano all’estero, piuttosto mi sento figlio della cultura italiana con una grande apertura e curiosità verso tutte le altre culture del mondo.

Suo Maestro è stato il grande Lorin Maazel: io stessa la intervistai in proposito. Un ricordo del grande Direttore da parte sua, oggi…
Il Maestro Maazel era una persona incredibile. Ogni musicista che abbia avuto modo di suonare sotto la sua direzione inizierà a parlarle di lui dicendo che era il Maestro con la tecnica direttoriale più “perfetta” con il quale abbia mai lavorato. Ma Maazel era molto di più di questo: oltre ad essere un gigante del podio, suonava benissimo il violino ed era un compositore molto raffinato, parlava sette lingue ed era laureato in filosofia. Io ebbi la fortuna di conoscere anche il lato estremamente umano e sensibile del Maestro. Ricordo con grande affetto i momenti trascorsi insieme al Festival di Castleton, negli Stati Uniti tre anni fa, e soprattutto la sua generosità. Da lui non solo ho imparato tantissimo come direttore, ho ricevuto conforto, fiducia e umanità, ma anche il complimento più bello della mia vita: “Stai fraseggiando in un modo incredibilmente nobile”… Fu una delle ultime volte che sentii la sua voce.

Lei ha appena finito di dirigere a Catania giusto il Don Giovanni, che diresse a Castleton. La sua mente e il suo cuore, dunque, sono tornati a quei momenti…
Certo! Il Don Giovanni a Castleton partì solo qualche giorno prima, nel senso che iniziai a dirigere l’opera solo dall’antegenerale, proprio quando il Maestro Maazel, a causa delle sue precarie condizioni di salute, decise di affidarmi la produzione. Il mio entusiasmo e la felicità erano alle stelle, soprattutto per il fatto che fui accompagnato per “mano” alla prima dell’opera dal Maestro, il quale per seguirmi si fece installare una videocamera in buca e dal suo appartamento seguì le prove in streaming. Ad ogni pausa una macchina mi apettava fuori dal teatro per portarmi a casa del Maestro il quale continuava a darmi consigli e ad istruirmi. Furono dei giorni pazzeschi, mi sembrava di vivere in uno di quei film americani dove la realtà sembra essere un sogno. Uno dei figli del Maestro mi raccontò che durante la prima dell’opera, all’attaco in piano degli archi nell’aria di don Ottavio “Dalla sua pace”, il padre si commosse.

Ama dirigere in particolare quest’opera di Mozart? E se sì, perché?
Adoro dirigere l’opera mozartiana. E’ come muoversi all’interno di uno spazio sonoro perfetto dove il divino ed il terreno si fondono insieme in un costante equilibrio espressivo, malinconico, comico, drammatico.

Cosa è cambiato da quell’esperienza operistica?
Beh, prima di tutto sono cambiato io. Un’interpretazione musicale dipende da diversi aspetti, uno su tutti la conoscenza della partitura che, nel caso del Don Giovanni, oggi per me è più “vecchia” di 3 anni, la stessa età, quasi, di mia figlia. L’essere padre, così come tutte le esperienze umane forti, credo influisca molto sul modo di affrontare una partitura.

Il Don Giovanni è stata la prima opera da lei diretta?
No, la prima opera che diressi fu Tosca al festival Puccini di Torre del Lago esattamente 10 anni fa, avevo 27 anni. Dirigeva il Maestro Carminati ed io diressi l’ultima recita della produzione. Fu un’esperienza unica perchè non solo era il mio debutto nell’opera, ma diressi l’opera senza aver fatto una prova con l’orchestra e anche a memoria. E’ stata una bella serata!

Come si è trovato a Catania alla guida di un’orchestra di tradizione come quella del Teatro Massimo Bellini?
L’Orchestra del Bellini è un’ottima compagine. Ho avuto la fortuna di lavorare con i professori catanesi lo scorso anno per il tradizionale concerto in onore di S. Agata. In quei pochi giorni trascorsi insieme si è instaurata una vera e propria empatia musicale che ho subito ritrovato alla prima prova di questo Don Giovanni. Molta disponibilità, professionalità e voglia non solo di lavorare, ma di far sempre meglio. E poi bisogna riconoscere loro che hanno un bellissimo suono italiano con una grande flessibilità e sensibilità nell’accompagnare le voci.

Lei ama Bellini? Le piacerebbe dirigere un’opera belliniana a Catania? L’orchestra catanese si distingue nell’esecuzione dei capolavori belliniani: sarebbe una bella esperienza…
Bellini è un grandissimo compositore, purtroppo non abbastanza supportato dalle istituzioni locali. Basti pensare ad un’altro grande operista italiano, Rossini e vedere quello che è stato fatto per lui a Pesaro. Noi in Sicilia non abbiamo avuto questa cura nei confronti del nostro genio di casa. Detto ciò, certo che mi piacerebbe dirigere una sua opera e ancor più nella sua città natale.

Prendendo spunto da Bellini, spesso vittima di esecuzioni in cui i dati agogici vengono alterati arbitraramente, cosa pensa in generale della resa dei “tempi” e dello “stile” di ogni autore dal punto di vista del direttore d’orchestra?
L’esecuzione musicale, l’interpretazione sono due aspetti che nascono dallo studio analitico e minuzioso della partitura. E’ chiaro che bisogna prendere delle decisioni, ma queste non possono non essere in relazione con quanto ci sia scritto sulla partitura. Bisogna sempre pensare che noi interpreti siamo al servizio dei grandi Maestri e non, al contrario, utilizzare la musica dei grandi Maestri per nutrire il nostro ego o piacere al pubblico.
Per quanto riguarda invece la scelta dei tempi questo dipende da molti fattori. Il tempo oltre che con l’acustica della sala è in stretta relazione con il suono che si ha in mente e con l’articolazione. Ad esempio, se si suona un brano alla stessa velocità, ma una volta con un’articolazione corta e una volta con un’articolazione più lunga, in generale si percepisce il primo più veloce del secondo, pur avendo in entrambi i casi la stessa velocità, lo stesso metronomo. Questa cosa è tipica della musica italiana dell’800. Spesso si sente un accompagnamento o un tema molto snello, frizzante, quando invece sul palcoscenico abbiamo una scena drammatica. Nella maggior parte dei casi basterebbe un tantino allungare l’articolazione per rendere meno “comica” la musica e quindi supportare in maniera adeguata quanto si svolge sul palcoscenico.

Colore orchestrale, dinamiche, volume: come governa questi fattori nell’opera in generale, rispetto al dover coordinare contemponeamente buca e palcoscenico?
Il colore orchestrale è in relazione alla tonalità. Basti pensare agli accordi iniziali dell’ouverture del Don Giovanni. Mozart non solo ci dice che siamo in re minore, ma stabilisce fin da subito un colore che permane per gran parte dell’opera. Le dinamiche anche queste sono molto relative, in partitura c’è scritto “forte”, “piano”, ma quanto forte o quanto piano non è scritto: dobbiamo percepirlo noi così come avere la sensibilità di cercare di non coprire mai le voci. Credo però che se un direttore mette i professori d’orchestra nelle condizioni di ascoltarsi tra di loro e quindi di ascoltare i solisti, difficilmente si avranno dei problemi di bilanciamento. Non bisogna mai dimenticare che i musicisti di un’orchestra sono delle persone sensibili tanto quanto noi, che recepiscono con molta ricettività.

Quale autore desidererebbe dirigere, tra i grandi operisti italiani, ovvero, quale sente di più nelle sue corde e perché. E tra gli stranieri?
Mi piacerebbe dirigere Verdi, compositore che amo moltissimo. “Pianse ed amò per tutti” scrisse D’Annunzio. Verdi parla direttamente al cuore delle persone, senza filtri. Ti abbraccia e ti conforta con la sua straordinaria umanità, ti scuote con il suo feroce senso drammatico, ma nello stesso tempo si burla di tutti noi. Fantastico! Tra gli stranieri, direi Wagner. Il suo affascinante mondo mitologico e la ricerca della felicità attraverso l’eterno femminino sono dei temi troppo importanti per non approfondirli attraverso la magnificenza della sua musica.

In particolare, quale opera le piacerebbe dirigere più di ogni altra?
Anche domani: Rigoletto!

Sappiamo che lei è un musicista che ama spaziare anche nella musica moderna…
A me piace la musica in generale, senza spazio e senza tempo, nel senso di periodo storico, ed il mio motto è “sono alla ricerca del bello, tutto il resto è attesa”. E’ proprio in questi momenti di attesa che bisogna cercare anche un raggio di luce nei meandri più oscuri. Certo che, per fare un esempio, la musica di Bach è bella ed ha un’aspetto sovrannaturale che non si trova in altri compositori, ma non si può far finta di vivere l’ambiente musicale dell’epoca e utilizzare i social network allo stesso tempo. Piuttosto credo si tratti solo di un fatto di educazione all’ascolto. Le faccio un altro esempio: se una persona ha sempre e solo ascoltato musica del periodo barocco, quando la stessa persona ascolterà la nona sinfonia di Mahler per la prima volta magari la rigetterà, proprio perchè gli mancano 300 anni di storia della musica in mezzo. Quindi se le cose vengono fatte passo dopo passo credo che si possa arrivare ad accettare la contemporaneità senza paura. Certo che ci sono anche delle brutte composizioni moderne…ma forse c’erano anche secoli fa, moderne per allora…Non lo sappiamo perchè il tempo le ha emarginate e quindi non sono arrivate fino a noi.

Programmi per il futuro e un sogno nel cassetto…
I programmi per il futuro sono diversi, ma non voglio ancora svelarli per scaramanzia. Il sogno nel cassetto? So dov’è il cassetto, ma non l’ho ancora aperto…

Le auguriamo di cuore di aprirlo al più presto: grazie Maestro Percacciolo. La aspettiamo di nuovo a Catania per il Concerto sinfonico che dirigerà nell’aprile 2018.
Grazie, sarà di nuovo un piacere.

Ariticolo disponibile su:

http://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/item/11031-intervista-a-salvatore-percacciolo-a-cura-di-natalia-di-bartolo.html

 

Incontro il M° Salvatore Percacciolo a Catania, al termine delle recite del Don Giovanni di Mozart, che lo hanno visto sul podio del Teatro Massimo Bellini dal 13 al 20 ottobre 2017.

M° Percacciolo, lei è siciliano, ma vive a Berlino. Ho avuto il piacere di conoscerla ad Agrigento, quando, giovanissimo, ha diretto il concerto di riapertura del Teatro Pirandello alla grande Musica. Come mai questa scelta di lasciare la Sicilia, l’Italia addirittura?
Devo dirle la verità? (ride, n.d.r.) La scelta di lasciare l’Italia è nata da un colpo di fulmine, non per la Germania, paese che rispetto ed apprezzo soprattutto per il senso civico e per come trattano l’aspetto culturale in generale, ma per mia moglie: quando la conobbi viveva già in Germania da diversi anni e quindi ho voluto seguirla per vivere questa nuova esperienza facendomi trasportare solo dall’amore. Ad oggi le posso dire che sono felice della decisione non solo perchè ho avuto modo di imparare un’altra lingua e vivere in una città culturalmente stimolante, ma perchè credo di aver avuto modo di crescere anche musicalmente, godendo della possibilità di assistere a prove e concerti di tutti i più grandi direttori e solisti del momento. Detto ciò non posso nasconderle che io amo il mio Paese, l’Italia, e quindi la Sicilia, terra straordinariamente attraente, e mi sento più Italiano quando sono a Berlino che quando rientro in Italia. In poche parole non mi piace fare l’italiano all’estero, piuttosto mi sento figlio della cultura italiana con una grande apertura e curiosità verso tutte le altre culture del mondo.

Suo Maestro è stato il grande Lorin Maazel: io stessa la intervistai in proposito. Un ricordo del grande Direttore da parte sua, oggi…
Il Maestro Maazel era una persona incredibile. Ogni musicista che abbia avuto modo di suonare sotto la sua direzione inizierà a parlarle di lui dicendo che era il Maestro con la tecnica direttoriale più “perfetta” con il quale abbia mai lavorato. Ma Maazel era molto di più di questo: oltre ad essere un gigante del podio, suonava benissimo il violino ed era un compositore molto raffinato, parlava sette lingue ed era laureato in filosofia. Io ebbi la fortuna di conoscere anche il lato estremamente umano e sensibile del Maestro. Ricordo con grande affetto i momenti trascorsi insieme al Festival di Castleton, negli Stati Uniti tre anni fa, e soprattutto la sua generosità. Da lui non solo ho imparato tantissimo come direttore, ho ricevuto conforto, fiducia e umanità, ma anche il complimento più bello della mia vita: “Stai fraseggiando in un modo incredibilmente nobile”… Fu una delle ultime volte che sentii la sua voce.

Lei ha appena finito di dirigere a Catania giusto il Don Giovanni, che diresse a Castleton. La sua mente e il suo cuore, dunque, sono tornati a quei momenti…
Certo! Il Don Giovanni a Castleton partì solo qualche giorno prima, nel senso che iniziai a dirigere l’opera solo dall’antegenerale, proprio quando il Maestro Maazel, a causa delle sue precarie condizioni di salute, decise di affidarmi la produzione. Il mio entusiasmo e la felicità erano alle stelle, soprattutto per il fatto che fui accompagnato per “mano” alla prima dell’opera dal Maestro, il quale per seguirmi si fece installare una videocamera in buca e dal suo appartamento seguì le prove in streaming. Ad ogni pausa una macchina mi apettava fuori dal teatro per portarmi a casa del Maestro il quale continuava a darmi consigli e ad istruirmi. Furono dei giorni pazzeschi, mi sembrava di vivere in uno di quei film americani dove la realtà sembra essere un sogno. Uno dei figli del Maestro mi raccontò che durante la prima dell’opera, all’attaco in piano degli archi nell’aria di don Ottavio “Dalla sua pace”, il padre si commosse.

Ama dirigere in particolare quest’opera di Mozart? E se sì, perché?
Adoro dirigere l’opera mozartiana. E’ come muoversi all’interno di uno spazio sonoro perfetto dove il divino ed il terreno si fondono insieme in un costante equilibrio espressivo, malinconico, comico, drammatico.

Cosa è cambiato da quell’esperienza operistica?
Beh, prima di tutto sono cambiato io. Un’interpretazione musicale dipende da diversi aspetti, uno su tutti la conoscenza della partitura che, nel caso del Don Giovanni, oggi per me è più “vecchia” di 3 anni, la stessa età, quasi, di mia figlia. L’essere padre, così come tutte le esperienze umane forti, credo influisca molto sul modo di affrontare una partitura.

Il Don Giovanni è stata la prima opera da lei diretta?
No, la prima opera che diressi fu Tosca al festival Puccini di Torre del Lago esattamente 10 anni fa, avevo 27 anni. Dirigeva il Maestro Carminati ed io diressi l’ultima recita della produzione. Fu un’esperienza unica perchè non solo era il mio debutto nell’opera, ma diressi l’opera senza aver fatto una prova con l’orchestra e anche a memoria. E’ stata una bella serata!

Come si è trovato a Catania alla guida di un’orchestra di tradizione come quella del Teatro Massimo Bellini?
L’Orchestra del Bellini è un’ottima compagine. Ho avuto la fortuna di lavorare con i professori catanesi lo scorso anno per il tradizionale concerto in onore di S. Agata. In quei pochi giorni trascorsi insieme si è instaurata una vera e propria empatia musicale che ho subito ritrovato alla prima prova di questo Don Giovanni. Molta disponibilità, professionalità e voglia non solo di lavorare, ma di far sempre meglio. E poi bisogna riconoscere loro che hanno un bellissimo suono italiano con una grande flessibilità e sensibilità nell’accompagnare le voci.

Lei ama Bellini? Le piacerebbe dirigere un’opera belliniana a Catania? L’orchestra catanese si distingue nell’esecuzione dei capolavori belliniani: sarebbe una bella esperienza…
Bellini è un grandissimo compositore, purtroppo non abbastanza supportato dalle istituzioni locali. Basti pensare ad un’altro grande operista italiano, Rossini e vedere quello che è stato fatto per lui a Pesaro. Noi in Sicilia non abbiamo avuto questa cura nei confronti del nostro genio di casa. Detto ciò, certo che mi piacerebbe dirigere una sua opera e ancor più nella sua città natale.

Prendendo spunto da Bellini, spesso vittima di esecuzioni in cui i dati agogici vengono alterati arbitraramente, cosa pensa in generale della resa dei “tempi” e dello “stile” di ogni autore dal punto di vista del direttore d’orchestra?
L’esecuzione musicale, l’interpretazione sono due aspetti che nascono dallo studio analitico e minuzioso della partitura. E’ chiaro che bisogna prendere delle decisioni, ma queste non possono non essere in relazione con quanto ci sia scritto sulla partitura. Bisogna sempre pensare che noi interpreti siamo al servizio dei grandi Maestri e non, al contrario, utilizzare la musica dei grandi Maestri per nutrire il nostro ego o piacere al pubblico.
Per quanto riguarda invece la scelta dei tempi questo dipende da molti fattori. Il tempo oltre che con l’acustica della sala è in stretta relazione con il suono che si ha in mente e con l’articolazione. Ad esempio, se si suona un brano alla stessa velocità, ma una volta con un’articolazione corta e una volta con un’articolazione più lunga, in generale si percepisce il primo più veloce del secondo, pur avendo in entrambi i casi la stessa velocità, lo stesso metronomo. Questa cosa è tipica della musica italiana dell’800. Spesso si sente un accompagnamento o un tema molto snello, frizzante, quando invece sul palcoscenico abbiamo una scena drammatica. Nella maggior parte dei casi basterebbe un tantino allungare l’articolazione per rendere meno “comica” la musica e quindi supportare in maniera adeguata quanto si svolge sul palcoscenico.

Colore orchestrale, dinamiche, volume: come governa questi fattori nell’opera in generale, rispetto al dover coordinare contemponeamente buca e palcoscenico?
Il colore orchestrale è in relazione alla tonalità. Basti pensare agli accordi iniziali dell’ouverture del Don Giovanni. Mozart non solo ci dice che siamo in re minore, ma stabilisce fin da subito un colore che permane per gran parte dell’opera. Le dinamiche anche queste sono molto relative, in partitura c’è scritto “forte”, “piano”, ma quanto forte o quanto piano non è scritto: dobbiamo percepirlo noi così come avere la sensibilità di cercare di non coprire mai le voci. Credo però che se un direttore mette i professori d’orchestra nelle condizioni di ascoltarsi tra di loro e quindi di ascoltare i solisti, difficilmente si avranno dei problemi di bilanciamento. Non bisogna mai dimenticare che i musicisti di un’orchestra sono delle persone sensibili tanto quanto noi, che recepiscono con molta ricettività.

Quale autore desidererebbe dirigere, tra i grandi operisti italiani, ovvero, quale sente di più nelle sue corde e perché. E tra gli stranieri?
Mi piacerebbe dirigere Verdi, compositore che amo moltissimo. “Pianse ed amò per tutti” scrisse D’Annunzio. Verdi parla direttamente al cuore delle persone, senza filtri. Ti abbraccia e ti conforta con la sua straordinaria umanità, ti scuote con il suo feroce senso drammatico, ma nello stesso tempo si burla di tutti noi. Fantastico! Tra gli stranieri, direi Wagner. Il suo affascinante mondo mitologico e la ricerca della felicità attraverso l’eterno femminino sono dei temi troppo importanti per non approfondirli attraverso la magnificenza della sua musica.

In particolare, quale opera le piacerebbe dirigere più di ogni altra?
Anche domani: Rigoletto!

Sappiamo che lei è un musicista che ama spaziare anche nella musica moderna…
A me piace la musica in generale, senza spazio e senza tempo, nel senso di periodo storico, ed il mio motto è “sono alla ricerca del bello, tutto il resto è attesa”. E’ proprio in questi momenti di attesa che bisogna cercare anche un raggio di luce nei meandri più oscuri. Certo che, per fare un esempio, la musica di Bach è bella ed ha un’aspetto sovrannaturale che non si trova in altri compositori, ma non si può far finta di vivere l’ambiente musicale dell’epoca e utilizzare i social network allo stesso tempo. Piuttosto credo si tratti solo di un fatto di educazione all’ascolto. Le faccio un altro esempio: se una persona ha sempre e solo ascoltato musica del periodo barocco, quando la stessa persona ascolterà la nona sinfonia di Mahler per la prima volta magari la rigetterà, proprio perchè gli mancano 300 anni di storia della musica in mezzo. Quindi se le cose vengono fatte passo dopo passo credo che si possa arrivare ad accettare la contemporaneità senza paura. Certo che ci sono anche delle brutte composizioni moderne…ma forse c’erano anche secoli fa, moderne per allora…Non lo sappiamo perchè il tempo le ha emarginate e quindi non sono arrivate fino a noi.

Programmi per il futuro e un sogno nel cassetto…
I programmi per il futuro sono diversi, ma non voglio ancora svelarli per scaramanzia. Il sogno nel cassetto? So dov’è il cassetto, ma non l’ho ancora aperto…

Le auguriamo di cuore di aprirlo al più presto: grazie Maestro Percacciolo. La aspettiamo di nuovo a Catania per il Concerto sinfonico che dirigerà nell’aprile 2018.
Grazie, sarà di nuovo un piacere.

Ariticolo disponibile su:

http://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/item/11031-intervista-a-salvatore-percacciolo-a-cura-di-natalia-di-bartolo.html